ALESSANDRIA DELLA ROCCA – Nei tempi in cui le strade erano mulattiere, le case delle stalle, e le galline passeggiavano indisturbate nel corso principale del paese, i bambini se ne stavano tutto il tempo nei cortili e nelle strade ad inventare e sperimentare le più svariate attività di gioco.
Erano tempi in cui bastava un pezzo di corda e si iniziava la gara dei salti; scopo del gioco: non inciampare, altrimenti si veniva eliminati. Le pietre poi, oggetto immancabile tra le stradine dei paesini, furono protagoniste indiscusse dei giochi di strada. Basti pensare al famosissimo “tornachetto” mantenutosi vivo nella tradizione arrivando fino ai giorni nostri; una pietra di gesso, dei rettangoli disegnati a terra, e come ingrediente finale il lancio della pietra che determinava l’inizio del gioco e del turno di ogni partecipante. Si stava ore ed ore a saltellare ora con uno, ora con due piedi, e magari con gli occhi bendati: a la “cieca”, ma attenzione a non sbagliare e non cadere, le penalità sono dietro l’angolo.
I nostri genitori ricorderanno di certo “ lu cuculiolo”, una singolare corsa dietro una ruota di bicicletta che veniva mossa da un bastone, ma ai tempi delle mulattiere i nostri avi progettavano questo gioco con altri strumenti, e l’originalità del cerchio della “brascera” che modificato da un fabbro diveniva la ruota da rincorrere non è certo da sottovalutare.
Gioco ormai quasi sconosciuto è invece “ a lu zuzzu”, frutto della fantastica immaginazione dei nostri nonni che con pochi strumenti a disposizione riuscivano ad inventare passatempi divertenti e coinvolgenti.
Sebbene pietre, legno e ferro, o ancora trottole, biglie e sacchi, erano il massimo a cui potere aspirare, i nostri antenati riuscivano ad elaborare decine e decine di giochi, spesso quegli stessi giochi che oggigiorno chiamiamo con altro nome ma che sono figli della fantasia dei nostri nonni. E’ il caso del nostro “a lu zuzzu” che nelle sue regole si avvicina e anticipa il moderno gioco delle bocce. Indispensabile per lo svolgimento del gioco era la ‘ccioppa, piccolo fiorone appartenente alle inferriate degli antichi balconi, lanciata contro una struttura ben pensata, di cui l’elemento indispensabile, che da il nome al gioco era “ lu zuzzu”, pezzo di legno, che veniva posizionato su una pietra con sopra una monetina che fungeva da bersaglio. Il vincitore era quel fortunato la cui ‘ccioppa avrebbe accolto la caduta della monetina.
I nostri nonni si divertivano con poco, né palloni di cuoio, né pupazzetti o statuine esistevano, ma calze di cotone riempite di pezze venivano prese a calci, le stesse pezze che divenivano bambole. E le statuine da cosa erano sostituite? “ A li tempi di li favi” dice il signor Barletta, che nei dettagli ha descritto e rivissuto i divertimenti della sua giovinezza, “ a li tempi di li favi, li favi li faciamu cavaddi “ , nel periodo in cui le fave maturavano, queste prendevano le sembianze di cavalli, inserendo i bastoncini di legno in esse, zampe, orecchie e code prendevano forma.
Ebbene se nell’altro secolo un bimbo pronunciava la fatidica domanda: ” giochiamo?” inventiva e fantasia agivano in un batter d’occhio ; giocare era sinonimo di esplorazione, invenzione e immaginazione; era tutto ciò che adesso non è, era tutto ciò che vale la pena ricordare e perché no riportare in vita.